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Località Caprara: Grància con cappella di S. Michele Arcangelo
La foresta della Caprara era stata donata da Federico II di Svevia nel 1221, al Monastero cistercense di Santa Maria del Saggittario in Chiaromonte (PZ), successivamente gli era stata tolta dalla Reverenda Camera Apostolica, e, nel 1720, ridata al Monastero con censo enfiteutico di 120 scudi da pagare alla detta Camera. Nel 1743, come da Catasto Onciario, foresta, grància, cappella, due vigne (S. Nicola e Valle della Vita), una masseria e poche piante di ulivo, erano di proprietà del Monastero. Nel testo di Giosafat Ferrari Memoria per la Comune di Montegiordano del 1837, che tratta della causa intentata dal Comune di Montegiordano contro il feudatario, barone Gaetano de Martino, e contro l’amministrazione dei Reali Demanî, all’indomani del 2 agosto 1806, data in cui venne promulgata la legge per la soppressione della feudalità e degli Ordini monastici, il Comune di Montegiordano richiede di abolire, in favore degli abitanti, i canoni imposti sulle case, orti, vigne, oliveti e frutteti e che analoghe disposizioni vengano applicate alla foresta della Caprara (nella sua parte compresa nel territorio di Montegiordano) proprietà, una volta, del soppresso monastero del Sagittario ed ora del Regio Demanio. Il Comune chiede, inoltre, che venga abolita la tassa di ducati sei che versava (al monastero) per le messe.
La grància, era l’elemento caratteristico della prima agricoltura cistercense. Quando le proprietà dei monaci diventarono eccessivamente estese per essere coltivate come un unico insieme, vennero suddivise in appezzamenti singoli. I campi aperti vennero così recintati e si costruirono degli edifici a scopo unicamente pratico, per poter servire convenientemente da abitazione ad un gruppo di fratelli conversi, per raccogliere gli animali della fattoria e per immagazzinare sia gli attrezzi indispensabili che il prodotto delle messi. Inizialmente, le grange cistercensi non comprendevano una cappella, perché si desiderava che i fratelli ritornassero all’abbazia per gli uffici religiosi. In seguito, con l’aumentare delle distanze, questo era divenuto irrealizzabile, per cui vennero erette anche le cappelle.
La cappella della cràngia in località Caprara, dedicata a S. Michele Arcangelo, si conserva nell’alzato cui, in parte, vi sono stati addossati ricoveri per animali.
Del culto di S. Michele Arcangelo, a Montegiordano, non rimane alcuna testimonianza. Nell’antica chiesa matrice distrutta si conservava, almeno fino al 1917, un quadro ad olio che raffigurava il santo, di cui, oggi, non vi è più traccia.
Da tradizione orale di persone di Montegiordano, si apprende che, almeno fino al 1952, nella cappella si venerava anche, secondo alcuni, S. Nicola, secondo altri, S. Domenico Abate. In mancanza di fonti scritte cui fare riferimento, posso ipotizzare che la confusione sia causata dall’iconografia dei due santi. Entrambi, infatti vestono le insegne vescovili della mitra e del pastorale. Però, mentre, S. Domenico Abate veniva festeggiato in paese la seconda domenica di maggio con fiera (che si svolge ancor oggi) e solenne processione (che non si svolge più); del culto di S. Nicola, a Montegiordano, non vi è traccia. Questi, invece è presente a Roseto, comune con cui la località Caprara confina.
Dott.ssa Loprete Teresa Carla
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